L'antisionismo è l'atteggiamento di coloro che si oppongono al sionismo, cioè al movimento politico fondato nel 1897 volto alla costituzione di uno Stato nazionale ebraico in parte di quello che fu il Mandato britannico della Palestina e, prima ancora, la Palestina ottomana. Il sionismo raggiunse il proprio obiettivo con la fondazione dello Stato d'Israele nel 1948, ma il movimento sionista continuò ad operare con entusiasmo per rinsaldare e proteggere il nuovo Stato. L'immigrazione e l'assimilazione di ebrei provenienti da altri paesi, principalmente profughi della Shoah, rappresentò il mezzo principale adottato dal sionismo per rafforzare lo Stato d'Israele.
Prima del 1948, l'antisionismo rappresentò l'opposizione ai tentativi volti alla creazione del futuro Stato ebraico. Dopo il 1948, l'antisionismo si basò sulla difesa della popolazione araba o palestinese, che aveva sofferto durante i conflitti armati del 1947-48. Da allora, gli antisionisti si propongono di difendere i diritti della popolazione palestinese, sia dei profughi fuggiti nel 1947-48 e dispersi per il mondo, principalmente in altri paesi arabi, sia di coloro che rimasero e acquisirono successivamente la cittadinanza israeliana, sia infine di quelli che vivono nei territori occupati da Israele a partire dal 1967.
L'antisionismo pone un'obiezione di fondo all'esistenza dello Stato ebraico edificato dal movimento sionista e al movimento stesso, nella sua evoluzione ideale sin dal primo congresso mondiale tenutosi a Basilea nel 1897, fino alle sue posizioni attuali. Diverse personalità di spicco, del mondo ebraico e non, sostengono che l'antisionismo sia una nuova forma velata di antisemitismo, tesi comunque non unanimemente accettata. Di più, alcuni ebrei negano legittimità a uno Stato ebraico costituito nella Terra Promessa prima dell'arrivo del Messia; altri, come i Neturei Karta, ripudiano in toto l'idea stessa di uno Stato ebraico.
Storia
Il sionismo in un certo senso deriva dal concetto di aliyah, cioè il desiderio di tornare alla Terra Promessa. Tale parola ha descritto anche le migrazioni di alcuni ebrei verso Israele fin dai tempi antichi, ma il concetto, di stampo religioso, è più spesso legato al ritorno del messia. Sostenere l'aliyah non significa automaticamente sostenere il sionismo: alla nascita di questo movimento politico, esso fu avversato dalla grande maggioranza dei correligionari.
Gli ebrei ortodossi, conservatori, riformati, gli ebrei di Palestina e molti rabbini chassidici si opposero. Il sionismo fu teorizzato da Theodor Herzl, un ebreo austriaco, e restò un fenomeno limitato all'ebraismo dell'Europa orientale, sviluppandosi in una compagine nazionale eterogenea come si presentava a fine Ottocento l'impero austriaco: cechi, serbi, polacchi galiziani, tedeschi di Boemia avevano i propri rappresentanti nel Parlamento imperiale e potevano appellarsi a una propria nazione e a una propria terra che loro apparteneva, a differenza degli ebrei. Proprio per questa sua peculiarità, parte dello stesso mondo askenazita guardava con indifferenza, se non addirittura con ostilità, l'idea sionista. Rimasero totalmente estranei all'idea gli ebrei dei Paesi arabi.
Tra gli ebrei ortodossi askenaziti furono mosse al sionismo appunti soprattutto di carattere religioso, sostenendo che il ritorno alla Terra Promessa poteva avvenire solo con l'arrivo del Messia. Fatta eccezione per i pogrom russi, dal punto di vista sociale l'ebraismo stava vivendo un periodo di relativa tranquillità. Si opposero al sionismo, in quanto espressione di nazionalismo, Lev Trotsky e Rosa Luxemburg. In Russia, la maggioranza degli ebrei si ritrovava in organizzazioni socialiste non sioniste. La più significativa era il Bund, movimento antisionista nato nel 1897 per promuovere nella diaspora un'autonomia culturale fondata sulla lingua e la cultura yiddish.
Fautori di una cooperazione arabo-ebraica, e quindi di una concezione funzionale al sionismo, furono negli anni '20 il gruppo B'rit Shalom (Patto di pace) e negli anni quaranta il gruppo Ihud, di cui fece parte Martin Buber; entrambi erano stati fondati da Jehuda Magnes, cofondatore e presidente dell'Università Ebraica. Dagli Stati Uniti, fece sentire la sua voce di opposizione alla violenza sionista Hannah Arendt. La forte immigrazione ebraica in Palestina sotto il mandato britannico (tra il 1920 e il 1945, immigrarono in zona 367'845 ebrei e solo 33'304 non-ebrei), a seguito della dichiarazione di Balfour, prima in via ufficiale e dopo il Libro Bianco del 1939 in maniera clandestina, portò la percentuale di popolazione ebraica del paese a passare dall'11% circa del censimento del 1922 (83'790 unità su un totale di 752'048) al 33% circa rilevato dall'UNSCOP nel 1947 (608'000 su un totale di 1'845'000).
La situazione creò un crescendo di tensione tra la popolazione preesistente e i coloni, che sfociò sovente in periodi più o meno prolungati di scontri (tra cui la rivolta araba del triennio 1936-39, che fu tra le cause dell'emanazione del Libro Bianco) e, a partire dagli anni trenta, ad azioni terroristiche dei gruppi sionisti più estremi come l'Irgun Zvai Leumi e il Lohamei Herut Israel, rivolte di volta in volta contro i britannici, la popolazione araba e gli ebrei accusati di collaborare con la potenza mandataria. A seguito dell'Olocausto tra l'opinione pubblica occidentale iniziò ad essere vista con favore la creazione di uno stato ebraico. La naturale conseguenza fu l'abbandono di quanto previsto nel 1939 dal Libro Bianco britannico (nascita di un unico stato ad etnia mista nel 1949) e l'approvazione della Risoluzione 181 che prevedeva la divisione del territorio in due stati. Per i primi vent'anni successivi prevalse nel mondo - fatta eccezione per i paesi arabi - una visione sostanzialmente favorevole allo Stato di Israele.
Anche in Occidente, tuttavia, vi furono voci critiche nei confronti del sionismo, soprattutto per quello che riguarda le sue componenti più estremiste. Nel 1948 diversi intellettuali ebrei residenti negli Stati Uniti (tra cui Hannah Arendt ed Albert Einstein) scrissero una lettera al New York Times in cui veniva fortemente criticata la visita negli Stati Uniti di Menachem Begin, alla ricerca di fondi e di contatti con il movimento sionista statunitense, definendo i metodi e l'ideologia del suo partito "Tnuat Haherut" (formato dopo lo scioglimento ufficiale dell'Irgun) come ispirati a quelli dei partiti nazisti e fascisti. Nel 1967, a seguito della guerra dei sei giorni, il giornalista ebreo statunitense Isidor Stone ha scritto:
L'opposizione politica allo stato di Israele cominciò a farsi sentire dopo la guerra del 1967 e la conquista dei Territori Palestinesi, e si accentuò nel corso della prima guerra del Libano, con il massacro maronita di Sabra e Shatila. Le valutazioni storiche sulla nascita dello stato ebraico, e sulle azioni del medesimo, cambiarono con la comparsa delle opere dei nuovi storici israeliani cosiddetti post-sionisti - da Avi Shlaim, a Tom Segev da Benny Morris a Ilan Pappé, vale a dire dalla fine degli anni ottanta. Ilan Pappé, ad esempio, ha sostenuto che durante la cosiddetta Nakba nel 1947-48 le autorità ebraiche agli ordini di David Ben Gurion praticarono una vera e propria pulizia etnica sistematicamente pianificata che portò all'espulsione di circa ottocentomila profughi palestinesi.
Benny Morris, partito anch'egli dal mettere in luce i fatti del 1948 e degli anni successivi, cambiò radicalmente posizione politica, sostenendo che la pulizia etnica nei confronti dei palestinesi avrebbe dovuto essere ancora più esauriente; tutto questo, però, senza cambiare una riga dei suoi scritti precedenti, a dimostrazione che considera tuttora di aver riportato comunque il vero. L'opposizione è cresciuta ulteriormente a partire dall'inizio della seconda intifada anche a causa del maggior accesso ai mezzi di comunicazione degli oppositori al sionismo grazie all'accesso ai nuovi media.
Fra gli oppositori per motivi religiosi si ricordano i Neturei Karta (נטורי קרתא, in aramaico "Guardiani della città") che rifiutano di riconoscere l'autorità e la stessa esistenza dello Stato di Israele accusandolo di essersi dotato di una facciata religiosa (con l'uso di nomi religiosi per i partiti politici, la presenza di rabbini negli stessi, etc.) e di alterare i commentari alla Torah secondo le esigenze sioniste. L'opposizione politica allo stato di Israele in quanto stato degli ebrei, è diretta a trasformare quest'ultimo, con o senza i Territori occupati, in uno stato realmente appartenenti a tutti coloro che attualmente vi abitano, siano essi ebrei o non ebrei, che ammontano al 20% dei cittadini israeliani, principalmente cittadini arabi di Israele.
Alcuni auspicano un unico stato multietnico e multiconfessionale che riunisca in sé il territorio attualmente israeliano oltre ai Territori occupati. Fuori dal mondo ebraico, questa tendenza è sostenuta ad esempio da Virginia Tilley, autrice di The One-State Solution. Fra gli ebrei 'diasporici' sono da ricordare gli storici Tony Judt, il politologo statunitense Bertell Ollman, il militante di sinistra Tony Greenstein ed il giornalista (di stanza a Tel Aviv) Arthur Neslen; degli israeliani, lo stesso Ilan Pappé, lo scrittore Uri Davis, l'attivista Michel Warschawski, condirettore israeliano (insieme al medico palestinese Majed Nassar) dell'Alternative Information Center (AIC), gruppo in cui israeliani e palestinesi cooperano al medesimo livello, e l'antropologo Jeff Halper, presidente dell'Israeli Center Against House Demolitions (ICAHD).
Antisionismo e antisemitismo
In anni recenti, molti commentatori hanno sostenuto che alcune manifestazioni antisioniste coprano in realtà sentimenti antisemiti, collegati forse a qualche eccesso violento di estrema destra o estrema sinistra in difesa dei palestinesi. A tal proposito è stato coniato il termine di nuovo antisemitismo, cioè di una forma di razzismo antiebraico che si serve di argomentazioni antisioniste. Critiche all'utilizzo di tale espressione affermano che esso in realtà confonda l'antisionismo con l'antisemitismo, considera demonizzanti le critiche legittime a Israele, banalizza il significato di antisemitismo e lo sfrutta per mettere a tacere i dibattiti.
Esistono piccoli gruppi di ebrei antisionisti, come i Jews Against Zionism, che sostengono che la dimensione politica del sionismo contraddica il disposto della Torah.
Note
Voci correlate
- Antisemitismo
- Neoantisemitismo
- Neturei Karta
- Sionismo
Altri progetti
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